Racconti montecosaresi: pe’ daje un vascio m’ha fatto stira’ lo collo

Ai miei tempi si andava alle varie feste per cercare di conoscere le ragazze e fare scommesse su di esse. Eravamo poco più che adolescenti e chi non aveva il coraggio di chiedere qualcosa alle ragazze doveva pagare da bere.

In una di queste feste, ho vista una ragazza che mi piaceva veramente, allora cosa ho fatto? Le sono andato dietro per un bel po’, poi tutto d’una volta le ho tirato la maglietta dicendole: “Signorina, permette una parola? … Do stai de casa?… Quand’anni c’hai?”. Lei mi ha risposto solamente: “Sto a Montecosaro in contrada Cavallino e sono la figlia di Agostino“. E’ finita così e non ha voluto più sentire discorsi.

La domenica seguente sono andato a Montecosaro e l’ho vista mentre usciva dalla messa delle dieci. Subito non ho avuto il coraggio di parlarle. Ho incontrato però un amico e gli ho domandato dove stesse di casa la ragazza e se eventualmente mi ci poteva accompagnare. Ma prima di partire, mi sono fatto forte: sono andato al Caffè di Mimma e mi sono scolato quattro bicchieri di Vermouth!

Ce semo messi a fa’ l’amore quasci subbeto, ma pe’ potejie da’ un vascio m’ha fatto stira’ lo collo (ci siamo messi insieme quasi subito, ma per poterle dare un bacio mi ha fatto allungare il collo)!

Prima era diverso, era tutto più bello, c’era più allegria. Anche gli amici, erano più amici, non ti tradivano mai, quel poco che avevamo ce lo facevamo bastare, non cercavamo di più. Si stava in compagnia, si cantava, si scherzava. Al tempo dello scartoccià (scartocciare il granoturco) si terminava il lavoro a mezzanotte e oltre, poi tutti, grandi e piccini, a ballare fino alle quattro di mattina, sudati, impolverati. Eppure eravamo contenti e tranquilli, molto più di oggi che abbiamo qualsiasi cosa a disposizione.


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Racconto, tradotto dal dialetto all’italiano, tratto dal libro “Viva la Jiende” di Emilia Corelli Cucchi (2000) – Centro del Collezionismo

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