In campagna si cantava spesso durante le varie faticose attività lavorative (lo méte, lo vatte, lo scartoccia’, la vendemmia….), ogni occasione era buona per sorridere o, attraverso questi canti, scambiarsi messaggi o dichiarazioni d’amore. Cantare lavorando serviva anche a sopportare meglio la fatica e a sentirsi uniti e in armonia.
Lo stornello era un canto popolare dell’Italia centrale, in particolare Marche, Lazio e Toscana, successivamente diffusosi nell’Italia meridionale. Esso era un tipo di poesia generalmente improvvisata, molto semplice, affine alla filastrocca, tanto cara alla gioventù spensierata ed innamorata. Il termine stornello deriverebbe, o dal provenzale “estorn”, tenzone, gara poetica, o dall’uso di cantare a storno e a rimbalzo, cioè di voce da un luogo all’altro. Il tempo della sua nascita è incerto, i più antichi esempi risalgono a al secolo XVII.
Le rime iniziavano tutte con l’invocazione ad un fiore o a una pianta (fiore de menta, me la so’ fatta ‘na magnata de pulenta…..).
I modi di cantare gli stornelli erano tre: “a dispetto”, “a batocco” e “graziosi”:
- “A dispetto”: detti anche stornelli maliziosi, in quanto componimento poetico satirico, arguto, pepato ed allusivo, che spesso serviva anche per esprimere acredine, sdegno e dispetto nelle avverse vicende amorose.
- “A batocco”: perchè nel canto si alternavano un uomo e una donna, ricordando il movimento altalenante del batocco della campana.
- “Graziosi”: come indica la parola, stornelli gentili, amabili, simpatici.
Mario Monachesi