Nelle feste popolari è facile imbattersi in gruppi folckloristici intenti a ballare il Saltarello, tipico ballo del centro Italia il cui fascino sta riconquistando anche i più giovani. Un fascino che deriva dalle sue origini mitiche, intrinsecamente legate alle creature fatate dei Monti Sibillini. La “saltatio” era una danza tipica delle popolazioni latine e infatti era molto diffusa fin dai primi albori della civiltà romana, tanto che in latino il termine “saltationes” finì per estendere il suo significato fino ad essere utilizzato per indicare i balli in genere. Ritroviamo queste danze anche nel Medioevo: balli molto vivaci, eseguiti in gruppo e con una esplicita carica erotica, tanto che la Chiesa impose di limitarne la pratica durante le feste liturgiche. Le prime trascrizioni musicali, dovute alla trasposizioni dei balli popolari in ambienti aristocratici, risalgono al XIV secolo e sono conservate al British Museum di Londra.
Nella tradizione popolare il saltarello presenta tratti comuni con la pizzica pugliese e la tarantella napoletana, tutte appartenenti alla tradizione delle danze di corteggiamento. Il tratto peculiare del saltarello marchigiano, però, è la sua formula “cantata” che vede gli esecutori nel doppio ruolo di ballerini e cantori: accompagnati dal suono di organetto e tamburello, infatti, uomini e donne si esibiscono, oltre che in passi di danza, in simpatici canti “botta e risposta” che ruotano intorno al tema del corteggiamento.
Sui Monti Sibillini le origini storiche del saltarello si intrecciano con le leggendarie Fate della Sibilla, investendo questa danza di significati simbolici ben più profondi. Si narra, infatti, che furono proprio le Fate ad insegnare agli uomini il saltarello. Esse potevano ballarlo solo tra di loro: se un essere umano avesse danzato con una di queste creature sarebbe stato risucchiato per sempre nel Regno della Sibilla. Il saltarello oggi viene ballato prevalentemente in coppia mista, ma in passato veniva eseguito anche in gruppi di sole donne. Originariamente, infatti, erano le donne ad “officiare” il rito del ballo, diventando così incarnazione pulsante dell’eros.
Anche gli strumenti musicali che accompagnano la danza sono riconducibili simbolicamente ai due sessi: il tamburello, strumento la cui origine leggendaria viene attribuita proprio alle fate, era infatti tradizionalmente suonato dalle donne in casa, mentre l’organetto, simbolo dell’ingegno dell’uomo, era uno strumento tipicamente maschile. Prodotto inizialmente solo nella zona di Castelfidardo, si diffuse in seguito in tutta la penisola stravolgendo la musica popolare italiana. Con l’organetto si compie il passaggio del saltarello dal mondo delle Fate al mondo degli uomini, perdendo parte della sua sacralità. Anche nella leggenda ritroviamo questo momento di passaggio: si racconta infatti che durante una festa dei ragazzi provarono ad alzare le gonne delle fate scoprendone le zampe caprine. Con questo gesto fu come se volessero trasformare la dimensione sublime e divina dell’erotismo, in un impulso animalesco e incontrollato. E allora le Fate fuggirono, lasciando gli uomini alla loro “bestialità”.
Isabella Tomassucci