Cerquetti Alfonso

1830-1905 (insegnante)

Per una lettera dell’alfabeto, mandò all’aria un matrimonio, perché la ragazza di cui era innamorato gli scrisse “Caro Alfonzo” con la zeta invece che la esse. Bizzarro pedante geniale, ritratto tipo di un montecosarese.  Un montecosarese tosto, un italianista militante un purista senza macchia e senza paura fu Alfonso Cerquetti, professore di belle lettere che dai suoi allievi preferiva farsi chiamare “maestro”.

Era fratello di Nicola, avvocato, di Gregorio combattente e patriota risorgimentale, di Elisabetta, monaca della Visitazione, figli tutti di Giovanni e della “sora Creùsa” (una Pasquali di Potenza Picena) nipoti del canonico Benedetto, conosciuto a Montecosaro nella prima metà dell’ottocento per la sua pietà e la lentezza nel dire la Messa. I Cerquetti abitavano in una casa vicino a piazza Garibaldi, proprio di fronte a palazzo Malerbi.

Alfonso fece i suoi primi studi a Montecosaro che allora faceva si e no tremila abitanti ed era per quei tempi (non c’erano solo i matti) un piccolo centro di cultura: c’era un magistrale artigianato dei metalli, una tradizione umanistica alimentata da una corso ginnasiale con dosi massicce di latino, un’agguerrita fazione patriottico-repubblicana. In questo contesto formativo permeato di idealità risorgimentali, il giovane Alfonso studiò filosofia nel convento dei Cappuccini di Morrovalle, legge a Macerata.

Insegnò a Montecosaro nel periodo in cui, titolare della cattedra di grammatica e retorica della “Primaria Pubblica Scuola” del paese era Giovanni Mestica e Carlo Malerbi, punto di riferimento per i liberali, era controllato a vista dalla polizia pontificia. A Montecosaro circolano tuttora tra gli anziani le parole che la povera sora Creùsa, allibita, si sentì dire allora sul conto del figlio dall’arcivescovo di Fermo, il reazionario cardinale De Angeli: “Ti giuro, Creùsa, per questa Croce che porto in petto, che tuo figlio, finché io vivo, non entrerà più a fare scuola nella mia diocesi”. Nella nuova Italia dell’Unità, il professor Cerquetti continuò a dedicarsi con passione all’insegnamento (prima a Forlì poi ad Osimo) ed agli studi di filologia con il metodo e gli strumenti che questa disciplina aveva nel secolo scorso.. Classicista, repubblicano e cattolico sul genere di Nicolò Tommaseo, veniva da una tradizione culturale che coniugava culto della parola con l’amore per la patria.

Era un erudito acuto e pignolo. Vigilava come un cane da guardia sulle dieresi, le sineresi, gli apostrofi, i punti e virgole. Disquisiva polemicamente sull’uso delle parole e quando sulla porta, si sentiva dire: “Si accomodi”, reagiva con lessicale disappunto: “E che? Sono forse rotto?”. Discepoli e colleghi credevano di vedere il lui il modello di Un caro pedante  di E. De Amicis. Solo una sguardo ai titoli della gran messe di saggi, di commenti, di articoli da lui prodotti basta per dirci che era un accanito cacciatore di errori, di spropositi, come lui preferiva chiamarli: quelli degli altri, ovviamente, che non esitava a chiamare vigliacchi, canaglie, indegni del nome di italiani. Piuttosto clamorosa fu, alla metà degli anni settanta del secolo XIX, la polemica con l’Accademia della Crusca, la massima autorità in fatto di lingua e stile, e con il suo segretario Cesare Guasti. Cerquetti aveva pubblicato le sue puntigliose correzioni e giunte alla lettera C di quel vocabolario e si era lasciato andare a qualche considerazione non troppo tenera sui Cruscanti. Guasti lo querelò.

Al processo, celebrato a Milano con grande eco sulla stampa nazionale, il professore (“un uomo della Marca”, l’aveva apostrofato sprezzatamene il Guasti), nonostante la pubblica presa di posizione in suo favore del Carducci, venne condannato a quattro lire di multa. Possedeva una sterminata biblioteca messa su tomo su tomo, ordinata, catalogata e mostrata agli amici con sacrale venerazione. Oltre agli scritti di carattere filologico, i discorsi (nel 1880 commemorò a Montecosaro Angelo Marini, patriota, medico di Mazzini e Saffi a Londra, sindaco),  gli interventi sui giornali, di lui bisogna ricordare l’edizione delle Odi di Parini e quella curatissima dei Promessi Sposi romanzo caparbiamente ignorato  fino all’età matura e poi amato con passione. Vedovo di Rosina Bertozzi, figlia del farmacista di Montecosaro, passò in seconde nozze con Volunnia Pierandrei nel 1889. Dal primo matrimonio erano nati Giovanni e Giulia. Giovanni promesso della filologia romanza e insegnante come il padre, morì a soli 29 anni nel 1893.

Alfonso Cerquetti riposa nel cimitero di Osimo (AN). Una foto ce lo mostra nella piena maturità con la barba lunga e biforcuta come quella di Mosè: l’immagine di un uomo che i suoi allievi temevano e non potevano non amare. Nel centenario della nascita, il collegio “Campana” di Osimo, dove aveva insegnato per 15 anni, lo ricordò con un busto ed una iscrizione recante l’elogio che di lui, ancora vivo, aveva fatto il Carducci: “Egregio uomo onesto e prode cultore della filologia italiana, che ha dato tutta la sua vita a questi studi senza ricavarne né guadagni, né onori, né titoli”.  Il Comune di Montecosaro e Luigi Pepi, allora podestà, lo commemorarono con una corona nella casa natale ed un discorso pubblicato a stampa. A Montecosaro gli venne anche intitolata una via del centro storico, quella del “casseretto” , oggi conosciuta come via Cerquetti e basta. Che questa via sia dedicata proprio ad Alfonso questo quasi nessuno lo sa. Cerquetti chi? – tuonerebbe il professore – Ce ne sono tanti! Ignoranti!

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