Contadino

L’agricoltura è stata, insieme alla pastorizia, una delle prime attività dell’uomo, come testimonia la stessa Bibbia che ci parla di Abele, pastore, e Caino, agricoltore, lavoratore della terra. E, in effetti, la nostra è stata sempre una civiltà prettamente contadina se si considera che è stata proprio l’agricoltura a rendere l’uomo stanziale, favorendo il passaggio dall’uomo cacciatore e nomade a uomo civico.

Tutto avvenne, quando l’uomo sentì l’esigenza di fermarsi in un determinato posto e lì trascorrere la sua vita: la caccia non fu più sufficiente ad assicurargli il cibo e nacque la necessità di coltivare la terra per trarre da essa il cibo necessario al suo sostentamento. Ha imparato a coltivare le piante e ad allevare gli animali. Ed è diventato sedentario, cioè viveva sempre nello stesso posto e a non si spostava più per cercare il cibo.

A questo uomo che coltivò la terra si diede il nome di “contadino”, per cui si può affermare che il mestiere di contadino è da considerare il più antico del mondo, un mestiere fondamentale fino ai giorni nostri, perché lavorare la terra è stata la principale occupazione della maggioranza degli umani dalla rivoluzione del neolitico al XX secolo.

Quello del contadino era un lavoro molto faticoso, pesante, gravoso a tal punto che fino a qualche decennio fa era normale incontrare nei nostri piccoli paesi persone, uomini e anche donne in età avanzata, che assumevano una posizione curva, quasi ad angolo retto, conseguenza della postura che avevano tenuto, lavorando.

Il contadino “viveva” la campagna, era la sua vita. Le sue preoccupazioni più grandi erano la grandine, la siccità, le malattie e i predatori. Non conosceva né feste né riposo. Iniziava a lavorare la mattina molto presto e smetteva la sera molto tardi con il buio. Zappava, seminava, curava le piante e gli animali come curava i suoi stessi figli. Aveva il viso e le braccia bruciati dal sole e gli immancabili calli alle mani.

I contadini erano nella quasi totalità analfabeti. Accadeva, perché già a sette anni diventavano lavoratori attivi, aiutando i genitori nei campi o pascolando la capretta. Lavoravano la terra non di loro proprietà, erano affittuari o coloni, pagavano l’affitto con metà del raccolto, a volte toccavano tre parti al proprietario, una al contadino.

Il lavoro del contadino non si esauriva mai, perché le colture avevano un ritmo incalzante dominato dallo scorrere delle stagioni. Le sue attività comprendevano l’aratura, la semina, la zappatura, la concimatura, l’innesto, la potatura, la mietitura, il raccolto.

L’anno agrario iniziava con la semina del grano a novembre e si concludeva con la vendemmia di ottobre e la raccolta delle olive di novembre dell’anno successivo. Nell’attività di aratura si faceva aiutare degli animali (buoi o muli) a cui metteva il giogo, attaccandovi l’aratro, quel semplice, ma indispensabile strumento di lavoro che tanto ha contribuito alla civilizzazione dell’umanità.

I valori della civiltà contadina non possono e non devono essere dimenticati e dovrebbe essere un impegno comune cercare di mantenere vivo il ricordo di un passato povero ma laborioso. Dimenticarli significherebbe, per noi che da quel mondo discendiamo, estirpare le nostre stesse radici. In fondo, siamo tutti “figli di contadini”!

Liberamente tratto da un racconto di Bruno Palamara