Enzo de Ntrognà

Lungo la Nazionale, tra un semaforo e un altro, ci sta “Il Barbiere”. All’interno in un locale austero, senza tanti macchinari infernali, mai toccato dalla moda parigina, ci passa gente di varia umanità; ma ormai, solita cantilena (c’è la crisi, ed è vero): “la gente si rade sempre meno, i capelli stanno ritornando quelli degli anni settanta – ci dice Enzo Marziali, che da 40 anni (ha aperto il 18 marzo 1972), tiene in vita quest’arte venuta da lontano – persino gli anziani non si vergognano più se alla messa mattutina il crine arriva fino al collo”.

Tra i suoi clienti, gente comune, assessori, sindaci, va fiero di Giovanni Loiacono, oro a Los Angeles 1984 e ricorda ancora quando, all’alba aprendo la barberia, al GR 2 ore 7.30, Gastone Ortona dava la notizia che a New York c’era stato un oro montecosarese nel lancio del peso.

Enzo, una moglie, tre figli e tre nipoti, se ne potrebbe benissimo andare in pensione, ma il sogno di rimanere sino all’ultimo col pennello e il rasoio in mano, come un qualsiasi artista, lo costringe a rimanere in trincea, nonostante parrucchieri moderni spuntino come funghi, con i loro tagli essenziali o i particolari trattamenti del cuoio capelluto. Lui, appartenente alla vecchia scuola, quando si facevano i corsi di aggiornamento ANAM a Macerata, usa ancora la carta della schedina del totocalcio per pulire il rasoio, per ascoltare le notizie utilizza una vecchia radio sintonizzata sempre sul “primo canale” e, tocco geniale, da buon commerciante, nel mondo all’incontrario del coiffeur di provincia – in paese a mò di sfottò lo chiamano ancora ‘ntrugnà – manca lo specchio “a mano” per vedere se dietro, il taglio è andato a buon fine; meglio evitare  seccature de “certi” strani clienti.

Cuore granata, “più dispiaceri che gioie – ti ripete se lo interroghi sulle sue passioni –  ma come tutti quelli che vanno in direzione contraria tifo Torino, la Torino operaia, come i miei clienti, contro quelli degli Agnelli”. Non è un rivoluzionario, negli anni ottanta e novanta era orgoglioso della sua DC, anche se nel locale si parlava poco di politica, mentre dal buon vecchio Giulio – un concorrente ad inizio attività, divenuto poi un collega da stimare – c’era il ritrovo del PCI, lì si discuteva di politica, “anche se devo ammettere di aver avuto dei “traditori” in casa, alcuni democristiani infatti, compreso il parroco, andavano dalla concorrenza rossa”.

Ma il barbiere in paese non è solo un mestiere: radiocronista sportivo sin dall’epoca delle radio libere, prima radioMontecosaro, poi radioalfa e ora TVRS-radiocuore, sempre in prima linea a seguire il calcio di periferia, quello ultradilettantistico; ex dirigente poi della squadra locale, allontanatosi in seguito, presentatore in certe manifestazioni locali e infine suonatore di piatti nella banda parrocchiale, dopo che le figlie hanno lasciato (in banda difetta della tecnica, non manca la passione, soprattutto quando mi chiama all’ultimo momento per suonare alla processione). “Ora è cambiato tutto, il nome barbiere non esiste più, la normativa europea lo ha cancellato, imponendo il nome “parrucchiere generico”, anche la barberia, come luogo di incontro è cambiata, a parte i vecchi, i primi tempi – aggiunge nostalgico – si parlava di più, c’era maggiore spensieratezza, sarà ‘sta crisi, i prezzi continuano a salire, sarà Monti, che mi ha tolto il gusto di essere incazzato, non lo so, ma sono stanco”. Nonostante ciò i prezzi sono ancora popolari, da far concorrenza ai cinesi. Che gli importa, ormai i figli sono quasi sistemati, e lasciare non si può, perché nonostante si parli sempre meno e la gente rimanga più spesso in casa, lungo la Nazionale, tra un semaforo e un altro, ci sta un posto dove è bello, mentre ci si rade la barba, far “cagnara”, mostrarsi ancora vivi. E poi invece di muoversi verso il tempo, il tempo si muove verso di lui.

Lunga vita al barbiere, fino all’ultimo taglio!

L’amico poeta: Roberto Sagripanti

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