Durante la guerra c’erano i tedeschi che non volevano che si andasse nei campi a lavorare perché gli aerei mitragliavano, ma noi non potevamo fare gli oziosi, per mangiare dovevamo lavorare la terra.
Una volta stavamo togliendo l’erba in mezzo al grano ed eccoti gli aerei; li abbiamo sentiti perché venivano dalla parte di Montecosaro e il vento ci ha fatto sentire il rumore prima che apparissero, allora ci siamo nascosti sotto il greppo. Quelli mitragliavano a più non posso, figli miei! “… ratatà… ta… ta….”
La terra schizzava via che sembrava il fuoco, certe sleppe (botte)! Gli aerei venivano giù come fulmini e poi si alzavano così: “roon… roon…“, sentivi i tuoni dentro le orecchie! Mamma, poretta, cò la pannella sopre lo muso, piagnìa e dicìa l’oraziò, nuà invece, li peccati (la mia povera mamma, con il grembiule sopra la faccia, piangeva e diceva le preghiere, noi invece, i peccati)!
Poi tutto è finito, siamo tornati nel campo a lavorare come se nulla fosse successo… La paura? Era tanta, ma cosa volevi fare? Te la tenevi per forza.
Ma pochissimo dopo i tedeschi hanno iniziato a fare i rastrellamenti. Noi con i figli de Panechella (di Panichelli?), che erano più grandi, abbiamo scavato una fossa e ce semo ficcati jiò cò mmoccò de magnà (ci siamo messi dentro con un po’ di cibo). Mio padre ci ha messo sopra dei tavoloni ricoperti di terra e Panechella ci ha arato sopra: che te sapìi la sotta, s’era notte, s’era jiorno (lì sotto non riuscivi a capire neanche se fuori era notte o giorno)!
Poi sono arrivati gli americani, i polacchi, ‘gni sorte de jiende (ogni tipo di persone), allora siamo usciti fuori anche noi, non ce ‘rcunusciamo più e parliàmo tutti gnerechi (non ci riconoscevamo più e parlavamo tutti in modo incomprensibile)!
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Racconto, tradotto dal dialetto all’italiano, tratto dal libro “Viva la Jiende” di Emilia Corelli Cucchi (2000) – Centro del Collezionismo