La rappresentazione di una commedia per Montecosaro significava un momento di vita sociale del tutto particolare. Ci si trovava, infatti, nei primi anni del Dopoguerra con tutte le difficoltà e problematiche che un lungo conflitto poteva lasciare. Erano ancora aperte le profonde ferite sulla pelle degli italiani, vittime di assurdi “sogni di gloria” e “primavere di grandezze“. Eppure si era cercato ugualmente di voltare quelle pagine dolorose con un altrettanto forte spirito di reazione che, anche con il cuore in gola, voleva a tutti i costi uscire da quel desolante incubo. Ed il teatro esercitò, in quel senso, una salutare evasione che, attraverso il ballo o la recitazione, riuscì a portare in quegli animi scossi e provati un raggio di luce e un po’ di sana serenità.
A tale proposito sono riuscito a raccogliere alcune testimonianze di chi, come Anna Ercoli, quei momenti di amara povertà li ha vissuti in prima persona con dignitosa umiltà:
“Con le mie amiche Gigetta, Iole e Gioconda riuscivamo a trascorrere insieme interminabili istanti di incosciente felicità frutto di ingenua semplicità che ci portava tranquillamente ad essere… contente di niente! Giravamo sottobraccio per le vie del paese, correvamo nelle campagne a raccogliere i fiori, o la domenica andavamo a piedi a Portocivitanova per passeggiare sulla sabbia del mare.
I vestiti? Ce li cucivamo da sole scambiandoceli per dare a noi l’illusione e agli altri l’impressione che fossero nuovi!… Nonostante tutto pensa di essere stata, nella mia gioventù, una ragazza fortunata che ha saputo apprezzare la vita come un grande dono. Sta poi a ciascuno, con una buona dose di equilibrio e senso di responsabilità, saperlo plasmare adattandolo ai propri sentimenti e, con la giusta presa di coscienza utilizzare nel migliore dei modi, soprattutto mettendosi a disposizione degli altri.
Sento di essere stata una giovane felice perché sono riuscita ad assaporare pienamente quelle spontanee emozioni che mi hanno regalato una quieta adolescenza. E qui si inserisce il discorso teatrale quando, con alcuni amici, decidemmo di organizzare una filodrammatica fatta inizialmente di tante belle idee che, fortunatamente, vennero ben recepite a valorizzate da una persona veramente speciale: il nostro dottore Domenico Giorgetti che si prese a cuore questo nostro progetto realizzandolo sia nelle scelte del testo, degli attori e curandone in modo inappuntabile la regia.
Per tutti noi quell’inverno fu davvero straordinario perché, una volta tanto, potevamo evitare di andare a letto (freddo) alle nove di sera e, con la scusa della commedia, uscire per le prove in una stanza (calda) del Comune. Senza televisione e giornali era quel momento l’unico mezzo per tenere i contatti sociali col mondo esterno e soprattutto il fine di sentirsi protagonisti anche in una realtà che ci relegava nel ruolo di semplici comparse…”
Tratto dal libro “Per un pugno di coriandoli” di Paolo Marinozzi – Centro del collezionismo
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