Il momento più atteso nella vita del contadino era sicuramente quello della trebbiatura. Si trattava di un evento carico di aspettative e di speranze, in quanto si sarebbero raccolti i frutti dei sacrifici di un intero anno. I giorni che precedevano la trebbiatura erano intensi e faticosi: avvenuta la mietitura, si andavano a predisporre le cove ed i cavalletti, che venivano poi trasportati sull’ara (aia) e sistemati a formare lo barcò. Infine il trattore trainava la trebbia e le due scale, che venivano collocate dal motorista nel luogo più appropriato.
Tutti i vicinati contribuivano a dare il loro aiuto. Non mancavano gli uomini addetti ai pagliai, quelli cioè incaricati affinché la paglia e la pula andassero a formare due distinti pagliai dalla perfetta forma ovale. Se da parte dei presenti veniva notato qualche difetto, per esempio se la superficie non era omogenea o se il pagliaio pendeva da un lato, allora partivano provocatorie osservazioni e frasi di beffa all’indirizzo dell’addetto che non era stato abbastanza abile e accorto nel suo lavoro. Il compito principale spettava comunque ai pagliaroli, a coloro cioè che dovevano introdurre le cove nella trebbia.
Per dare un’idea dell’importanza di questa fase, basti pensare che nei documentari di propaganda Luce, Benito Mussolini era ripreso proprio nell’espletamento di tale funzione. I pagliaroli dovevano fare in modo che il lavoro si svolgesse con la massima celerità, evitando al temnpo stesso, che la trebbia si ingolfasse. Ciò accadeva quando era eccessiva la quantità immessa nella macchina. I chicchi che fuoriuscivano dalla trebbia erano come tanti granelli d’oro per il contadino, che li guardava entrare nel sacco di juta con occhi gioiosi e soddisfatti.
Quando il grano aveva raggiunto il peso di un quintale, allora il contadino chiudeva il sacco con un laccio e, nonostante la fatica, se lo caricava sulle spalle: per portarlo in soffitta. Teneva conto dei sacchi che aveva trasportato e ogni tanto lanciava uno sguardo a lo barcò. Metteva poi a raffronto i sacchi di grano e le cove ancora da trebbiare facendo un rapido calcolo del prevedibile risultato: se la resa fosse stata superiore ai venticinque quintali per ettaro, la raccolta si sarebbe considerata ottima. Il contadino alzava gli occhi al cielo quasi implorando che ciò si fosse avverato. La trebbiatura terminava sempre con una bella mangiata di tagliatelle al sugo d’oca o di papera e pollo arrosto, vino a volontà e… con l’arrivo puntuale del frate per la questua.
Ultimata la trebbiatura il grano sarebbe stato poi consegnato all’ammasso, i cui magazzini si trovavano al piano terra del palazzo municipale. Del grano ottenuto, una piccola parte sarebbe stata destinata alla macinazione e quindi portata al mulino di Bartò Zazzini dai contadini della collina e a quello di Alberto Ribichini dai contadini della pianura. Quest’ultimo era un mulino ad acqua la cui caratteristica era la grande ruota affondata per circa mezzo metro nel Vallato.
Tratto dal libro “Passa la guerra” di Gian Mario Perugini – Centro del collezionismo
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